La Musica e la Città

Dopo il successo di pubblico e di critica della mostra “l’Arte e la Città” di Nando Calabrese realizzata nel gennaio 2018 al PAN|Palazzo delle Arti Napoli, si propone nel 2019 una mostra che sviluppa ed amplia il discorso intrapreso con la precedente esposizione. La nuova serie di scatti propone volti di musicisti contemporanei, colti durante l’esecuzione di brani musicali e sullo sfondo insolite location rimandano ai grandi musicisti che hanno trovato inspirazione a Napoli. Un nuovo appuntamento con immagini capaci di svelare luoghi della città poco conosciuti e di sollecitarne la riscoperta e il recupero. La mostra sarà accompagnata da un video che durante l’inaugurazione sarà proiettato e – nel corso della mostra, si promuoveranno, in collaborazione con associazioni del territorio, visite guidate a luoghi emblematici della musica a Napoli ed incontri con le persone ritratte che potranno offrire contributi di riflessione musicali.

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    FOTO           VIDEO


La musica, misteriosa interprete dei luoghi
Massimo Bignardi

L’idea di ripercorrere le strade della propria città, allo stesso modo di come si sfoglia un vecchio calendario, tiene insieme le esperienze di Nando Calabrese in ambito fotografico. Colson Whitehead, nel suo Il colosso di New York, pubblicato in italiano nei primi anni del Duemila, scriveva che le nostre strade “sono calendari che contengono ciò che siamo stati e ciò che saremo domani”. Profila, cioè, l’idea di un unicum al cui interno si iscrivono concetti di tempo diversi tra loro, se pur condizione l’uno dell’altro: la memoria diviene attiva, creativa e, dunque, rigenera i processi ed è già futuro. Voglio dire che nel suo fluire il tempo non cancella nessuna delle tracce, anzi fa sì che esse alimentino aspettative, perché già l’attesa implica un cambiamento.Nando Calabrese con la sua città, l’incredibile vulcanica Napoli, ha un rapporto particolare; lo è almeno per quanto riguarda la fotografia che non aderisce ad una visione, propria dei seguaci di Cartier-Bresson, vale a dire una fotografia che si fa testimone del proprio tempo, evitando “l’artificio che uccide la verità umana”. Calabrese, lo ha già ampia-mente chiarito nella sequenza di scatti proposti nella mostra “l’Arte e la Città”, allestita nei primi mesi del 2018 alPAN a Napoli, cerca proprio l’artificio che, infondo, è il motore, l’identità proprio della città di Partenope. Gli artisti, le loro opere, le architetture tracciavano, obbedendo all’impianto della messa in posa, un filo narrativo che si allungava, scivolando nei segreti di nascoste, mentali relazioni, dando vita poi a immaginifiche costruzioni: una tra le tante bellissime immagini che corredano il catalogo curato da Antonella Nigro, quella che ritrae Rosaria Matarese a Palazzo Mannajuolo, sulla scala elicoidale, grande invenzione architettonica di Giulio Ulisse Arata, artefice della stagione del liberty che segnò il rinnovamento della città a fine del primo decennio del XX secolo.Nando metteva in posa, uno ad uno, non solo i personaggi, bensì un complesso di memorie e di attualità che tessono la trama della vivacità culturale di Napoli: veri e propri ‘complessi plastici’ installati in luoghi topici della città, nelle solenni architetture di una delle più ‘luminose’ (diceva Stendhal) capitali del Vecchio Continente. Metteva quindi in essere una relazione con il tempo, tenendo, però, a bada sia le nostalgie che velano il passato, sia l’esuberanza del ‘nuovo’ a tutti i costi. Con la sequenza di scatti proposta oggi in questa mostra, il mirino della sua macchina fotografica inquadra altre pagine della vita napoletana: la città della musica, vale a dire quella che è stata ed è di Bellini, Cimarosa, Paisiello, Scarlatti e giù fino a Pergolesi; la città che ospitò la prima assoluta della Carmen di Bizet, in quel teatro posto nel cuore della vecchia città universitaria, tra Port’Alba, Piazza Dante, il vecchio Policlinico, l’Accademia di Belle Arti e ilMuseo voluto dai Borboni, oggi Museo Archeologico Nazionale. Insomma la città dei grandi musicisti che hanno studiato e celebrato Napoli, nelle pagine più belle della storia della musica.Come le immagini raccolte in “l’Arte e la Città”, i dodici scatti (proposti in grande formato) che articolano la traccia di questa mostra, seguono una scelta di post-produzione che introduce il colore nell’impianto di una ripresa fotografica in bianco e nero, anche se, a volte spingono a pensare che avvenga il contrario, ossia che, dall’impianto a colori,Nando costruisca un ‘in luogo’, una sorta d’identità (l’in di Hillman) racchiusa nella scala dei grigi, originata dal contrasto polare del bianco e del nero. Un chiaro esempio ci è proposto dalla fotografia dal titolo Arpa e voce Palazzo Majorano Caccioppoli Messina: il corpo della donna, il gesto che accompagna il canto, sono integrati nell’architettura del portale, disegnata dal Sanfelice, con il grigio del piperno incastrato magistralmente nella parete che affaccia nel cuore del quartiere San Ferdinando. Non c’è alcuna necessità di ricorrere al colore: Calabrese sa bene che la dimensione plastica non necessita di una cifra espressiva da affidare ad esso. Diversamente lo è per l’arpa, così come per gli altri strumenti musicali, così come era stato anche per le opere, gli oggetti d’arte nel citato ciclo esposto al PAN.Scriveva Schönberg nella prefazione ai Testi, pubblicato nel 1926: “L’autore del testo deve riservare in superficie lo spazio destinato alla musica, poiché essa mira a penetrare in profondità”.

Viaggio musicale nel golfo di Napoli
Sergio Attanasio

Il teatro più bello del mondo, un re ed una corte che amavano circondarsi di artisti internazionali, una terra ed un paesaggio incantevoli che hanno attirato a Napoli nel tempo i più grandi musicisti e compositori europei. Dal giovane Mozart con il papà nel Maggio del 1770 a Palazzo Sessa a Cappella Vecchia nella dimora del ministro inglese William Hamilton e nella Cappella Reale di Portici , a Wagner che dal Gennaio 1880 soggiornò a Villa Doria d’Angri a Posillipo dove scrisse buona parte del Parsifal e poi fu anche all’hotel Vittoria a Sorrento e a villa Rufolo a Ravello.

Da Rossini che dal 1815 fu ospite dell’impresario Barbaja e compose l’Ouverture dell’Otello tra il a palazzo in via Toledo e la villa di Mergellina, a Donizzetti che dal Giugno 1828 visse al piano nobile di un palazzo in via Nardones dove scriverà la Lucia di Lammermoor a pochi passi dal teatro San Carlo, dove si esibirà Verdi in ben quattro occasioni: nel 1835 con la prima dell’Alzira, nel 1849 con la Luisa Miller, nel 1858 con il Simon Boccanegra e nel 1872/73 con il Don Carlos e l’Aida. Questi sono forse gli artisti di maggiore richiamo tra i musicisti e compositori che hanno soggiornato nella nostra città. Poi alcuni decisero di costruirsi una magione sul mare o sulla collina di Posillipo come il tenore siciliano Roberto Stagno e la sua consorte il soprano Gemma Bellincioni che per primi furono interpreti nel 1870 della Cavalleria Rusticana di Mascagni e acquistarono e ristrutturarono una dimora seicentesca, l’antico palazzo dei duchi di Cantalupo a Mergellina, dove sognavano di rimanere per tutta la vita. E un compositore e pianista virtuoso austriaco come Thalbergh che dopo aver sposato la figlia del basso napoletano Luigi Lablache, fu rapito dalla nostra città e visse tra il palazzo a Monte di Dio e la villa con cappella a Posillipo dove morirà nel 1871. Ma Napoli è sempre stata considerata a giusta ragione la capitale europea della musica e della formazione musicale dei giovani, dove Leonardo Leo, prima allievo e poi maestro, al Conservatorio della Pietà dei Turchini e Nicolò Porpora anch’egli maestro in uno dei Conservatori di Napoli, il S. Maria di Loreto, venivano accolti nelle dimore dei nobili e dei ministri stranieri come a palazzo Mirelli di Teora opera del Fanzago alla riviera di Chiaia, o a palazzo Caracciolo di Torella a Largo Ferrandina. A Palazzo Berio ricordiamo che nel 1772, addirittura si trasferì la Corte, in occasione dei festeggiamenti per il battesimo di Maria Teresa Carolina primogenita di Ferdinando IV e nel giardino fu realizzato dal Vanvitelli un Salone ellittico e un teatro e fu rappresentata una serenata a 5 voci dal titolo Cerere placata, su musica di Niccolò Jommelli con le scene disegnate da Carlo Bibiena.

Dai quattro conservatori di Napoli venivano formati non solo piccoli musicisti e giovani compositori, ma anche voci soavi e brillanti come quelle dei castrati, quali Farinelli (Carlo Broschi) o Caffarelli (Gaetano Maiorano) che dopo aver cantato in tutte le corti europee coronò il suo sogno costruendosi un palazzo in città ai Quartieri Spagnoli a pochi passi dal Teatro San Carlo. Ma non solo musica e opere da teatro. Come non ricordare le melodie napoletane di Murolo e Tagliaferri con mandolini e chitarra sul mare di Posillipo, o sotto una taverna a Palazzo Donn’Anna, dove il Golfo di Napoli brilla in lontananza e il Vesuvio chiude un panorama di sogno.


1  Wolfgang Amadeus Mozart   Palazzo Sessa     Flauto  Marco Gaudino      2 Niccolò Jommelli  Palazzo Berio  Violoncello Stefano Sovrani     3 Richard Wagner  Villa Doria d'Angri  Trombone  Michele Apicella     4 Pietro Mascagni  Palazzo Cantalupo   Corno   Simona Amazio     5 Leonardo Leo  Palazzo Mirelli di Teora  Violino    Paola Astarita  Violino Gianfranco Biancardi  Violoncello  Francesco Scalzo  Viola  Rosario Di Meglio      6 Sigismund Thalberg   Cappella di Villa Thalberg  Clavicembalo  Vikram Siddharth     7 Ernesto Murolo/Ernesto Tagliaferri  Palazzo Donn’Anna  Chitarra  Riccardo Del Prete Mandolino  Carla Senese     8 Caffarelli (Gaetano Majorano)  Palazzo Majorana Arpa  Maria Caccioppoli  Voce  Sabrina Messina     9 Nicola Porpora  Palazzo Caracciolo di Torella   Violino Fabiana D’Auria  Violoncello Chiara Mallozzi      10 Gioacchino Rossini Palazzo Barbaja   Viola Tsvetanka Asatrjan      11Gaetano Donizetti In Via Nardones, 14  Clarinetto Julia Primicile Carafa  Fagotto Carmen Bianco     12 Giuseppe Verdi  Palazzo Reale  Trombone   Francesco Fierro  Tromba  Emanuele del Prete  Tuba  Luigi Izzo   Rullante  Alfonso Izzo Clarinetto Daniele Albano Flauto Italia De Caro

Passeggiando tra musiche e palazzi
Stefano Sovrani

Un flauto per rappresentare la presenza di Mozart a Napoli, un simbolo che evoca un’opera famosissima (Il flauto magico) e che richiama il virtuosismo e la delicatezza del suono. Per Niccolò Iommelli il violoncello che ci riporta agli strumenti ad arco, pienamente valorizzati nel meraviglioso Requiem del musicista aversano. Stessi archi per Leonardo Leo, ambientati per l’occasione a Palazzo Mirelli di Teora. Palazzo dopo palazzo e musicista dopo musicista, ho immaginato un percorso per offrire al visitatore della mostra La musica e la città un fil rouge che li conducesse tra i meandri della genialità musicale della scuola napoletana che fa della città la capitale indiscussa di questa forma d’arte, ieri come oggi. Ed ecco, allora, Richard Wagner aleggiare tra le stanze di Villa Doria D’Angri mentre conclude il suo Parsifal attraverso la presenza degli ottoni, da lui tanto prediletti. Gaetano Donizetti, poi, che compose 50 opere e ne fece debuttare ben 29 a Napoli, viene rappresentato con gli strumenti a fiato quali l’oboe, il clarinetto e il fagotto che propongono nelle sue opere i temi principali. Da una foto ad una musica, passando per la vicenda di Sigismund Thalberg, innamoratosi di Napoli al punto da restarvi fino alla fine dei suoi giorni, seduto al suo pianoforte nella splendida Villa di Posillipo. Quel piano in cui eccelleva tanto da rivaleggiare col più noto Franz Liszt. E Palazzo Donn’Anna, sempre a Posillipo, fa da scenario alle melodie di mandolino e chitarra che ci riportano a Ernesto Murolo e Ernesto Tagliaferri, connaturati a quei luoghi da romanze indimenticabili. Su altro fronte, rappresentato dai suoi strumenti bandistici, Giuseppe Verdi che a Napoli farà debuttare alcune opere tra cui la famosa “Luisa Miller”. E non poteva mancare il bel canto in una città che ha dato i natali agli inventori dell’opera buffa (Iommelli, Piccini, Cimarosa ed altri) che nel palazzo che fece costruire - divenuto ricco - il castrato Caffarelli, si sublima nell’immagine di una cantante accompagnata da un’arpista: il suono dell’arpa come specchio della purezza e nitidezza di una voce.


L’area “porticale” del castello

Le Sale Vesevi 

Nell’angolo in fondo alla corte, sottostante la Gran Sala, vi è un largo ingresso con un bel portale catalano in piperno che immette ad un lungo androne detto ”porticale” alla cui estremità vi è il passaggio pensile della cortina orientale del castello rivolta verso il mare.
Lungo il perimetro di tale galleria si accede a destra ad un ampio ambiente voltato già utilizzato nel quattrocento come magazzino di artiglieria, a sinistra sono disposte due camere dove, in epoca aragonese, erano ubicati gli “uffici della Corte”, in particolare: il “riposto”, la panetteria, la bottiglieria, la cucina e la “musaria(luogo dove si conservavano i generi alimentari).
Nella parte terminale di detto androne si apre a destra una piccola porticina con un’angusta scaletta che da accesso alla celebre prigione detta “del coccodrillo”. In origine era chiamata “Fossa del Miglio” perché destinata a conservare il grano del castello e in alcuni casi fu utilizzata anche come orribile prigione. Secondo un’infondata leggenda in questa fossa viveva il feroce animale che divorava i prigionieri.
Attraverso il vano posto di fronte alla prigione si accede ai suggestivi e articolati ambienti, su più livelli, della Torre del Beverello posta sul versante dell’omonimo molo.
A partire dal 1993 il Castello è stato inserito nel “Piano di restauro del patrimonio monumentale pubblico del centro storico di Napoli” grazie al quale, a partire dal 1995, sono stati avviati interventi di recupero della struttura monumentale su progetto del Prof. Arch. Arnaldo Venditti d’intesa con l’allora Soprintendenza ai Beni Ambientali e Architettonici di Napoli e Provincia e l’Amministrazione Comunale di Napoli. I restauri hanno visto il coinvolgimento anche dell’allora Soprintendenza Archeologica di Napoli e Caserta nonché della Soprintendenza per i BAS di Napoli e Provincia. Tra gli ambienti recuperati figurano anche i citati spazi del “porticale” del castello dove, attraverso un’indagine archeologica, è stato possibile individuare resti di epoca romana risalenti tra la fine del I sec a.C. e la tarda età imperiale ed inoltre un’area destinata a necropoli impiantata fra la metà del V e gli inizi del VI secolo d.C. .
Altresì, nel corso di tale scavo, sono emerse importanti testimonianze dell’originario impianto del castello angioino con il rinvenimento di frammenti di decorazione a fresco ritenuti di pertinenza del ciclo degli affreschi giotteschi che originariamente decoravano la Cappella Palatina. Inoltre sono stati portati alla luce interessanti frammenti di manufatti ceramici di epoca medievale, maiolica rinascimentale e vasellame di uso quotidiano. Nella parte sottostante tale articolata stratificazione sono apparsi distinti depositi vulcanici che si sovrappongono a partire dall’eruzione flegrea di 9000 anni fa sino a quella vesuviana di 2000 anni fa.
Dopo tale restauro gli spazi del “porticale” sono stati resi fruibili, nella loro articolata stratificazione, grazie ad una particolare allestimento architettonico con pavimentazione in vetro che consente al visitatore diammirare l’affascinante succedersi dei vari insediamenti che hanno caratterizzato il rilievo tufaceo su cui fu fondato Castel Nuovo.